Glossario indigeno
In questo articolo
annatto
Vedi sotto: onoto.
artigianato indigeno
L’artigianato indigeno è l’espressione materiale della cultura di una certa comunità o gruppo etnico, originari di un dato luogo. Fa riferimento a un sistema relativamente chiuso, autonomo e riconoscibile in virtù di caratteristiche proprie.
I manufatti prodotti hanno un triplice scopo: utilitaristico, rituale ed estetico. Essi sono realizzati in modo da integrare arte, bellezza e funzionalità, per soddisfare tutte le necessità pratiche e sociali del gruppo.
Ogni opera concretizza la conoscenza e il saper fare della comunità, trasmessi lungo le generazioni, e valorizza le risorse naturali dell’habitat circostante.
bejuco mamure (Heteropsis spruceana)
Bejuco mamure è il nome comune dato dai popoli indigeni del Venezuela (Warao, Yanomami, Ye’kwana e Piaroa) alla fibra vegetale che si ricava dalle radici pendenti di una pianta del genere Heteropsis originaria delle foreste tropicali.
La specie detta spruceana è tipica di tutto il Centro e Sud America, diffusa in Venezuela, Brasile del Nord, Colombia, Ecuador e nella Guyana francese.
Le sue fibre, intere o divise, vengono utilizzate nella manifattura di ceste, corde e per fare legature in genere, come quelle per sostenere le travi nella costruzione dei tetti delle case. In bejuco mamure, che è molto robusto, sono fatte le ceste tradizionalmente destinate ai carichi pesanti: dagli Ye’kwana per tessere la cesta Wüwa e dagli Yanomami per la cesta Wii.
cesteria
Antico mestiere appartenente alla famiglia della tessitura. Si distingue per l’utilizzo di fibre dure e semidure, rispetto alle fibre morbide utilizzate nelle altre tipologie.
La cesteria consiste nella realizzazione di oggetti grazie alla disposizione ordinata e all’intreccio di parti di vegetali come canne, liane, foglie, steli, fusti, cortecce, radici. Prima di poter essere usati tutti questi materiali vanno adattati e trasformati, anche in base all’utilizzo e agli oggetti da realizzare. La procedura più comune li riduce in listelli o canne sottili. L’attrezzatura è molto basica e consiste in utensili manuali come coltelli, raschietti, punzoni, pinzette e aghi.
L’intreccio segue un ordine preciso, che va dalla disposizione incrociata più elementare fino a una gamma molto ampia di combinazioni con cui si ottengono figure dal movimento più o meno continuo, che possono essere evidenziate anche dal colore delle fibre.
I prodotti realizzati costituiscono la gamma delle ceste e dei loro derivati: ceste, setacci, amache, stuoie.
La cesteria delle comunità indigene del Venezuela non è solo una specialità artigianale, ma una pratica che coinvolge tutti gli aspetti del sistema culturale. Essa gioca un ruolo nel simbolismo e nella mitologia, nell’arte, nella divisione di genere del lavoro, nel commercio, nell’ecologia e, nella vita adulta, costituisce un indice di prestigio sociale.
indigeno
Nativo di un certo luogo, autoctono. Può essere riferito a persona, animale, specie botanica o a una certa cultura, tradizione o mestiere, v. artigianato indigeno.
moriche
Nome comune dato dai popoli indigeni del Venezuela (Warao, Yanomami, Ye’kwana e Piaroa) alla palma Mauritia Flexuosa Linn. È detta anche “burití”.
Questa palma è tra le più abbondanti del Sud America tropicale, diffusa in tutti gli stati dell’Amazzonia: Brasile, Colombia e Venezuela. Essa forma estesi palmeti nelle aree allagate e paludose dell’Amazzonia, e crea foreste a galleria lungo i fiumi e le savane.
È dotata di un fusto molto grosso, che può raggiungere i trenta metri d’altezza e i sessanta centimetri di diametro, coronato da enormi foglie palmate. Ogni pianta produce numerosi frutti a grappolo, di un colore che va dall’arancione-rosso scuro al bruno-rossastro a maturità. La polpa è arancione, carnosa e grassa, dal sapore gradevole e dolce, e i semi sono di colore bruno, di forma quasi sferica o allungata.
Le fibre utilizzate per realizzare cesti e amache sono estratte dai suoi germogli.
Le utilità fornite dal moriche alle comunità indigene dell’Amazzonia sono innumerevoli e variegate, al punto che al moriche è legata la cosmogonia dei vari gruppi etnici ed essa è presente nei loro rituali, oltre che nella vita di tutti i giorni.
Quasi tutte le parti della palma sono utilizzate in qualche modo, ma l’uso più importante è dato dalla polpa dei suoi frutti, ricca di olio e nutriente, che costituisce una parte molto importante della dieta di molti gruppi indigeni. In diverse città amazzoniche i frutti di questa palma vengono venduti nei mercati e usati per preparare deliziosi succhi e gelati; essi sono anche fondamentali nella dieta della fauna selvatica, tanto che i morichales (i palmeti di moriche in spagnolo) sono considerati un sito ideale per la caccia.
La palma moriche è l’albero sacro del popolo Warao, da loro definito “orijú”, l’albero della vita. Da essa ricavano tutto il necessario per la propria esistenza: cibo, riparo, ombra, fibre. Con le foglie adulte tessono il tetto delle loro case senza muri; dai teneri germogli del bocciolo ricavano i fili per intrecciare fantastici manufatti; dal cuore della palma recuperano una delle principali e più apprezzate fonti proteiche, il il verme del moriche.
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onoto (Bixa Orellana Linn)
È il nome comune dato alla Bixa Orellana Linn, pianta originaria delle regioni tropicali del Sud America, dal cui frutto si estrae un caratteristico pigmento rosso. In italiano nota anche come annatto o achiote.
Una delle caratteristiche più note nei gruppi etnici venezuelani è l’uso di vernice soprattutto rosse sui loro corpi e volti, elaborati proprio con l’onoto, che ha spiccate proprietà tintorie. Questa sorta di vernice viene utilizzata per scopi rituali e cosmetici, per tingere i tessuti di cotone con cui si fanno i vestiti e per colorare le fibre con cui sono intrecciati cesti e amache.
In Venezuela esistono due specie di onoto, in base al colore dei grani dei loro frutti: rossi in un caso e gialli nell’altro. Durante la conquista, gli spagnoli iniziarono a usare l’onoto giallo al posto dello zafferano, da qui l’usanza di colorare i cibi, abitudine che è stata mantenuta nella popolazione venezuelana di tutte le regioni.
C’è un detto venezuelano, Agregarle color a la comida (aggiungere colore a un pasto), con cui si intende proprio aggiungere onoto, elemento che è diventato essenziale nella preparazione di alcuni piatti tipici.
tirite (Ischnosiphon arouma)
È una pianta erbacea perenne che si trova in Amazzonia e in altre foreste tropicali dal Costa Rica al Brasile. Essa forma un cespo alto da uno a tre metri.
Nelle aree in cui cresce, la pianta è comunemente raccolta allo stato selvatico e molto utilizzata nella cesteria indigena. Per esempio i lunghi steli sono usati dagli uomini Piaroa nella tessitura della cesta “Wapa”.
Il procedimento per ricavare la fibra è piuttosto laborioso. Gli steli vengono stesi al sole ad asciugare per diversi giorni, in cui acquisiscono una bella tonalità ruggine; senza questa fase diventerebbero presto fragili e inutilizzabili. Alcuni di essi vengono poi immersi nella sponda del fiume per un altro paio di giorni e assumono un color nero lucido. Prima dell’uso, ogni gambo è diviso in quattro o sei fili che vengono tirati tra la lama di un coltello e il dito; in questo modo il midollo viene rimosso e le fibre raggiungono la finezza richiesta.
Wapa o Guapa
Cesta circolare a forma di vassoio, intrecciata a mano dagli artigiani della comunità Piaroa, nell’Amazzonia venezuelana.
È realizzata in fibra vegetale di tirite (Ischnosiphon arouma), intrecciata con la tecnica del ‘twill’, che alterna strisce in colore naturale a strisce dipinte e crea particolari motivi geometrici di grande essenzialità ed eleganza.
Lo scopo originario di questo manufatto è funzionale, principalmente per raccogliere la farina di manioca o come vassoio per alimenti secchi. Sebbene non nasca come oggetto decorativo, in virtù della sua bellezza oggi è considerato tale.
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Wii o Guatura
È la principale cesta da trasporto Yanomami, utilizzata dalle donne per raccogliere e trasportare prodotti agricoli, legna da ardere o durante le escursioni nella giungla, che durano settimane e in cui le donne portano tutti gli effetti personali della famiglia.
È realizzata in fibra vegetale di bejuco mamure (Heteropsis spruceana), pianta tipica della foresta tropicale. Una volta spellata e divisa in strisce sottili, la fibra viene intrecciata con una tecnica ancestrale molto resistente, caratteristica di questa etnia. La tessitura delle ceste, già molto fitta, è irrobustita da ulteriori anelli interni di rinforzo, che danno ancora più stabilità.
Completata la tessitura, la cesta è dipinta con un colorante vegetale ricavato dai semi di onoto (Bixa Orellana Linn, detta anche achiote o annatto). Una volta asciutta, viene poi decorata a carbone con disegni geometrici (cerchi, punti, linee rette o ondulate) che hanno precisi significati simbolici: per esempio i cerchi rappresentano gli umani, le croci le impronte di giaguaro e le linee ondulate i serpenti. La forma a sezione circolare del manufatto è ricorrente nella cultura Yanomami, che la utilizza anche per le forme delle case e i tagli di capelli.
Queste ceste sono dotate di maniglie lungo il bordo superiore e di una fascia di supporto. Posizionando la fascia sulla fronte, la cesta si appoggia alla schiena e scarica così il peso sulla zona lombare.
Wüwa, cesta
La cesta “Wüwa” è il cesto da trasporto tradizionale delle donne Ye’kwana. Di grandi dimensioni, ha una struttura simile a un’anfora, dotata di una fascia portante sul bordo superiore. La fascia si appoggia sulla fronte, così che il cesto si posi sulla schiena. La sua forma sinuosa non è dovuta a motivi estetici, ma alla necessità di distribuire meglio il carico, adattandosi alla curvatura lombare.
Viene utilizzata principalmente per trasportare i tuberi di manioca dall’orto (“conuco”) alla cucina, per raccogliere legna da ardere o per trasportare oggetti durante le escursioni nella giungla.
Essa è opera esclusiva delle donne del popolo Ye’kwana e, tra tutte le ceste, è la più lunga e complessa da creare. È realizzata in fibra di mamure, spellata e divisa in vari modi, poi tessuta a raggiera con un intreccio a due punti, che crea un motivo diagonale. La tessitura, già molto fitta, è irrobustita da alcuni anelli interni di rinforzo che danno ancora più stabilità.
Solo a partire dagli anni Settanta le donne Ye’kwana iniziarono a variare i loro cesti da carico rendendoli più piccoli e decorati con motivi simbolici, per poterli vendere sul mercato nazionale e internazionale, e contribuire così all’economia comunitaria.
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